Viaggio per immagini e riflessioni tra strade deserte e la necessità di una nuova vita
In questi giorni di tragica emergenza c’è una cosa che colpisce in maniera particolare: il silenzio delle città. E l’occasione di incontrare questo silenzio, realizzando un servizio fotografico tra gli spazi deserti di una Viareggio immobile e quasi metafisica, non poteva che trasformarsi in un momento di riflessione. Non solo su quello che succede ma anche sulle sue implicazioni.
Si, perché fin dall’inizio della pandemia, la sensazione che si è fatta strada negli animi è che l’emergenza sanitaria abbia dissolto in pochi istanti l’illusione del mondo così come lo conoscevamo; anzi, così come lo avevamo pianificato. Sembriamo stupiti, forse addirittura infastiditi di aver scoperto di non essere eterni, che la morte non viva lontana da noi, che il nostro stile di vita non sia immutabile e che la realtà sia decisamente diversa da come preferivamo immaginarla. Decisamente più implacabile.
Eppure, visto da un molo inverosimilmente deserto, sul quale sbuca curioso un cagnolino, il mare di Viareggio è sempre lo stesso: la natura, al contrario di noi, non ha avuto bisogno di fermarsi. Anzi. Senza esitare ha dimostrato la propria, istintiva tendenza verso un equilibrio perfetto, verso un armonia da condividere. Gli animali, con maggiore lealtà degli uomini – e soprattutto, a differenza nostra, senza pretendere nulla in cambio – in questi giorni si riaffacciano nei nostri spazi quasi per invitarci a recuperare assieme proprio quell’equilibrio di cui, troppo a lungo, abbiamo ignorato l’importanza e la necessità.
Senza dover per forza far viaggiare lo sguardo tra metropoli e megalopoli, le immagini irreali delle piazze e delle strade vuote di Viareggio devono farci tornare alla realtà. Devono ricordarci che, quando supereremo l’emergenza e ripartiremo, non potremo farci trovare impreparati; che non potremo ricominciare a seppellirci vivi in ritmi di produzione e consumo devastanti, che ci allontanano dai veri bisogni, quelli che in questi giorni possiamo imparare dai medici e dagli infermieri, dalle Forze dell’Ordine, da chi condivide il cibo con gente che non conosce o da chi si rifiuta di far sentire abbandonati i nostri nonni. Ecco: abbiamo superato il limite, ed è proprio arrivato il momento di rallentare. Anche l’orologio della Passeggiata a mare, mentre vicino sventola il nostro Tricolore, sembra aver rallentato la sua corsa. È arrivato il momento di capire che oggi andare avanti non significa più progredire. Oggi progredire deve significare far funzionare bene quello che abbiamo fatto, prenderci cura di noi, delle persone che abbiamo accanto e degli spazi in cui viviamo. Deve significare smettere di produrre e consumare stupidamente cose nuove che sostituiscono altre cose nuove.
In qualche maniera, quest’epidemia sembra averci colti sul fatto poco prima di quel collasso sociale, ambientale, politico ed economico che tutti intravvediamo all’orizzonte. Ecco perché quest’emergenza epocale, questo tratto di storia che stiamo vivendo, deve essere un’occasione per capire che niente ci deve appartenere se non la capacità di comprendere le nostre reali necessità, a cominciare dalla vita altrui. Ecco perché quest’emergenza è un’occasione che non possiamo permetterci di buttare.
Massimiliano Montefameglio è regista e giornalista, ha collaborato con Rai, Alice, Marcopolo e Corriere della Sera (per il quale ha curato la regia di CorriereLive). Appassionato documentarista, ha realizzato alcuni reportage durante la guerriglia indipendentista del sud del Senegal. Nel 2019 ha scritto e diretto il suo settimo documentario, “L’eroe silenzioso”, è tra i fondatori e organizzatori di Sophia, il festival nazionale di filosofiassimiliano Montefamiglio